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MORTE A VENEZIA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 novembre 1971
 
di Luchino Visconti, con Dirk Bogarde, Silvana Mangano, Björn Andersen, Romolo Valli, Marisa Berenson, Franco Fabrizi (Italia, 1971)
 
Punto di riferimento imprescindibile nel cammino di un regista fra i più significativi di tutta la storia del cinema, Luchino Visconti legge il racconto di Thomas Mann, e ne rimane affascinato. Nulla di più prevedibile: perché la descrizione che Mann fa della decadenza della classe sociale alla quale egli appartiene è uno dei grandi temi, il leitmotiv stesso che ha segnato la carriera di Visconti. Ma direi che il grande tema del regista, il dramma dell'individuo posto a cavallo di un'epoca di trasformazione sociale (e da qui una relativa analisi storico e sociale del momento), subisce una evoluzione in MORTE A VENEZIA. Per questa ragione il film appare come una svolta notevole nell'opera viscontiana. E' chiaro, conoscendo Senso, o Rocco, o anche film più discussi, come IL GATTOPARDO, che Visconti avrebbe potuto calcare la mano della critica sociale molto più esplicitamente anche in questo suo ultimo film. Tutta quella generazione che il regista ci descrive in modo semplicemente favoloso (basterebbero la sequenza dell'arrivo di Aschenbach all'albergo, l'aperitivo nel salone ed il suo primo incontro con il giovanetto, la spiaggia), è vista dal protagonista come un mondo che muore, ma al quale egli per sempre appartiene. La sua lucidità gli permetterebbe quindi un evidente discorso di critica sociale.

Ma in MORTE A VENEZIA questo discorso (che è quello di tutti i grandi film di Visconti) sfocia al contrario in una meditazione, più inedita, più evidente che in altre sue opere, sulla vita e sulla morte. Sul significato della bellezza nella vita: e non solo nel senso di un artista (come è Aschenbach). Sul dramma della vecchiaia vista, come decomposizione di un mondo (sociale, e fisico; come la minaccia del colera su Venezia, tema sfiorato, tenuto allo stato latente, ma mai sfruttato in modo realistico, e facilmente violento). Al tema della disgregazione sociale e morale, che è esemplare in Senso, si appaia qui quello del disfacimento fisico di un ambiente; e della crisi psicologica che questa distruzione di valori provoca nell'individuo. L'alta drammaticità di MORTE A VENEZIA deriva da questa crisi e non, parrebbe inutile sottolinearlo, da quello dell'omosessualità, che non è che un pretesto puramente sfiorato. Questo per dire che poco, per non dire nulla, appare futilmente formalistico nel film: forse soltanto la prima parte, con la descrizione dell'arrivo al lido, che è puramente decorativa (seppure perfetta), ma non forse significativa ai sensi del racconto.

Persino la sequenza finale, di per sè un esempio mostruoso di formalismo (con il ragazzino che entra controluce in mare, e stende la mano ad indicare un punto dell'orizzonte) acquista nel contesto del film un significato assolutamente compiuto, un senso altamente umano. Lo sguardo registico che Visconti pone su questo dramma è di una maturità e di una maestria affascinanti: ogni movimento della camera è una pennellata che incide profondamente nel ricordo dello spettatore, delinea i risvolti di un mondo. Ogni inquadratura è di una ricchezza di particolari, di una complessità di rapporti e di motivi, da avere un senso compiuto di per sé stessa.

Basterebbe, ad esempio, la già citata sequenza dell'entrata nel salone dell'albergo, prima di cena, a costituire un esempio da manuale cinematografico: la camera, con un respiro dal ritmo perfetto, svela, in una decina di movimenti, tutto l'ambiente. Indica, in seguito, e isola i due personaggi, determinando così in pochi minuti il tema e il significato di tutta l'opera. La scelta degli interpreti (a cominciare dal ragazzino) e la loro statura (Bogarde si conferma uno degli attori più sensibili al mondo), il commento sonoro, il respiro scenografico, la raffinatezza fotografica, fanno di morte a venezia un momento cinematografico al quale sarà impossibile non riferirsi.

"La vita", dice Aschenbach," è come la sabbia di una clessidra. Nemmeno si nota che sta sfuggendo da un forellino; ma, alla fine, è come se una voragine inghiottisse questa sabbia, e gli ultimi granelli scompaiono inesorabilmente". MORTE A VENEZIA è questa clessidra. L'illusione di arrestare la fuga della sabbia tra le dita è Tadzio. E la realtà è Venezia che muore, e con lei i personaggi sui quali si posa l'occhio stanco di Aschenbach.


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